Piccoli Atei
Sono rimasto impressionato qualche anno fa, durante un incontro di preti, dall’affermazione di un giovane sacerdote che, pensando a tutto lo sforzo che le parrocchie ci mettono per la catechesi e vedendo gli scarsi risultati, concludeva dicendo: “Noi stiamo educando dei piccoli atei”.
E la conferma mi è stata data da un recente libro di Armando Matteo, assistente nazionale della FUCI (studenti universitari) dal titolo LA PRIMA GENERAZIONE INCREDULA.
Generazione incredula non perché si sia esplicitamente collocata contro Dio e contro la Chiesa, ma molto più elementarmente, perché nessuno ha testimoniato ad essa la convenienza della fede, la forza della Parola del Vangelo che può illuminare le soglie e le domande della vita, la bellezza di una fraternità nella comune sequela.
Cos’è successo? Forse è mancata una evangelizzazione primaria non più data in seno alla famiglia, dal momento che i loro genitori sono proprio quelli cresciuti nell’ambiente del ’68. Nessuno ha aiutato questi ragazzi a sviluppare alcun senso per l’importanza della preghiera, della lettura della Bibbia e una vita nella Chiesa.
I loro stessi genitori ne erano distanti.
L’immagine che hanno della Chiesa è distorta, frutto di pregiudizi.
La banda e il gruppo sono il ritrovo normale nelle gioie e nel dolore.
I giovani si consolano da soli, non sanno a chi raccontare il loro dolore o la loro gioia, non trovano adulti disposti a dar loro tempo.
Quando dopo gli studi si affacciano sul mondo del lavoro, non c’è posto per loro; possono continuare a studiare a lungo, attendere, essere precari a tempo indeterminato, come se il mondo degli adulti non facesse loro posto.
Con l’animo di Gesù, ci prende allora una grande commozione dentro.
Guardiamo i giovani meno fortunati di noi adulti e come defraudati di qualcosa che noi abbiamo avuto la fortuna di avere: la fede e una Chiesa che, magari attraverso le associazioni cattoliche, preti più numerosi e oratori funzionanti, si è presa cura della nostra adolescenza e giovinezza.
Non si tratta certamente solo di ricuperare il tempo perduto, ma di farsi un severo esame di coscienza e, senza incolpare sempre gli “altri”, l’ “istituzione”, o “i tempi che cambiano”, rimboccarci le maniche per incominciare a credere veramente e ad avere fiducia nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani, considerandoli non solo come un “oggetto” da custodire e accudire, ma come una “forza” presente oggi nella società e capace anche di cose grandi!
Gesù ha “accolto” i piccoli che davano fastidio quando lui parlava agli adulti, ha “fissato negli occhi e guardato con interesse” quel giovane che gli chiedeva cosa doveva fare per avere la vita eterna.
Perché non fare così anche noi?
Redazione CdB
E la conferma mi è stata data da un recente libro di Armando Matteo, assistente nazionale della FUCI (studenti universitari) dal titolo LA PRIMA GENERAZIONE INCREDULA.
Generazione incredula non perché si sia esplicitamente collocata contro Dio e contro la Chiesa, ma molto più elementarmente, perché nessuno ha testimoniato ad essa la convenienza della fede, la forza della Parola del Vangelo che può illuminare le soglie e le domande della vita, la bellezza di una fraternità nella comune sequela.
Cos’è successo? Forse è mancata una evangelizzazione primaria non più data in seno alla famiglia, dal momento che i loro genitori sono proprio quelli cresciuti nell’ambiente del ’68. Nessuno ha aiutato questi ragazzi a sviluppare alcun senso per l’importanza della preghiera, della lettura della Bibbia e una vita nella Chiesa.
I loro stessi genitori ne erano distanti.
L’immagine che hanno della Chiesa è distorta, frutto di pregiudizi.
La banda e il gruppo sono il ritrovo normale nelle gioie e nel dolore.
I giovani si consolano da soli, non sanno a chi raccontare il loro dolore o la loro gioia, non trovano adulti disposti a dar loro tempo.
Quando dopo gli studi si affacciano sul mondo del lavoro, non c’è posto per loro; possono continuare a studiare a lungo, attendere, essere precari a tempo indeterminato, come se il mondo degli adulti non facesse loro posto.
Con l’animo di Gesù, ci prende allora una grande commozione dentro.
Guardiamo i giovani meno fortunati di noi adulti e come defraudati di qualcosa che noi abbiamo avuto la fortuna di avere: la fede e una Chiesa che, magari attraverso le associazioni cattoliche, preti più numerosi e oratori funzionanti, si è presa cura della nostra adolescenza e giovinezza.
Non si tratta certamente solo di ricuperare il tempo perduto, ma di farsi un severo esame di coscienza e, senza incolpare sempre gli “altri”, l’ “istituzione”, o “i tempi che cambiano”, rimboccarci le maniche per incominciare a credere veramente e ad avere fiducia nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani, considerandoli non solo come un “oggetto” da custodire e accudire, ma come una “forza” presente oggi nella società e capace anche di cose grandi!
Gesù ha “accolto” i piccoli che davano fastidio quando lui parlava agli adulti, ha “fissato negli occhi e guardato con interesse” quel giovane che gli chiedeva cosa doveva fare per avere la vita eterna.
Perché non fare così anche noi?
Redazione CdB
Ultimo aggiornamento (Venerdì 18 Febbraio 2011 07:19)