La Pentecoste, una festa difficile
«Sì la Pentecoste è una festa difficile.
Ma non perché lo Spirito Santo, anche per molti battezzati e cresimati, è un illustre sconosciuto.
È difficile perché provoca l’uomo a liberarsi dai suoi complessi.
Tre soprattutto, che a me sembra di poter individuare così.
Il complesso dell’ostrica.
Siamo troppo attaccati allo scoglio.
Alle nostre sicurezze.
Alle lusinghe gratificanti del passato.
Ci piace la tana.
Ci attira l’intimità del nido.
Ci terrorizza l’idea di rompere gli ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci sul mare aperto. (…)
Lo Spirito Santo, invece, ci chiama alla novità, ci invita al cambio, ci stimola a ricrearci.
C’è poi il complesso dell’una tantum.
È difficile per noi rimanere sulla corda, camminare sui cornicioni, sottoporci alla conversione permanente.
Amiamo pagare una volta per tutte.
Preferiamo correre soltanto per un tratto di strada.
Ma poi, appena trovata una piazzola libera, ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi. (…)
Lo Spirito Santo, invece, ci chiama a lasciare il sedentarismo comodo dei nostri parcheggi, per metterci sulla strada subendone i pericoli.
E c’è, infine, il complesso della serialità.
Benché si dica il contrario, noi oggi amiamo le cose costruite in serie.
Gli uomini fatti in serie. I gesti promossi in serie. (…)
C’è un livellamento che fa paura.
L’originalità insospettisce. L’estro provoca scetticismo.
I colpi di genio intimoriscono. (…)
Lo Spirito Santo, invece, ci chiama all’accettazione del pluralismo, al rispetto della molteplicità, al rifiuto degli integralismi, alla gioia di intravedere che lui unifica e compone le ricchezze della diversità.
La Pentecoste vi metta nel cuore una grande nostalgia del futuro».
Antonio Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo.
Ma non perché lo Spirito Santo, anche per molti battezzati e cresimati, è un illustre sconosciuto.
È difficile perché provoca l’uomo a liberarsi dai suoi complessi.
Tre soprattutto, che a me sembra di poter individuare così.
Il complesso dell’ostrica.
Siamo troppo attaccati allo scoglio.
Alle nostre sicurezze.
Alle lusinghe gratificanti del passato.
Ci piace la tana.
Ci attira l’intimità del nido.
Ci terrorizza l’idea di rompere gli ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci sul mare aperto. (…)
Lo Spirito Santo, invece, ci chiama alla novità, ci invita al cambio, ci stimola a ricrearci.
C’è poi il complesso dell’una tantum.
È difficile per noi rimanere sulla corda, camminare sui cornicioni, sottoporci alla conversione permanente.
Amiamo pagare una volta per tutte.
Preferiamo correre soltanto per un tratto di strada.
Ma poi, appena trovata una piazzola libera, ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi. (…)
Lo Spirito Santo, invece, ci chiama a lasciare il sedentarismo comodo dei nostri parcheggi, per metterci sulla strada subendone i pericoli.
E c’è, infine, il complesso della serialità.
Benché si dica il contrario, noi oggi amiamo le cose costruite in serie.
Gli uomini fatti in serie. I gesti promossi in serie. (…)
C’è un livellamento che fa paura.
L’originalità insospettisce. L’estro provoca scetticismo.
I colpi di genio intimoriscono. (…)
Lo Spirito Santo, invece, ci chiama all’accettazione del pluralismo, al rispetto della molteplicità, al rifiuto degli integralismi, alla gioia di intravedere che lui unifica e compone le ricchezze della diversità.
La Pentecoste vi metta nel cuore una grande nostalgia del futuro».
Antonio Bello, Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo.