Vivere la Domenica a 10.000 Km da Casa
“Morning has broken”. Cat Stevens, i cinesi e il reverendo Peter Shea alla messa delle 11
Vivere la domenica a 10.000 km da casa
Il racconto di un agratese che vive e lavora a San José, in California
Il villaggio di Yerba Buena contava appena 400 abitanti quando i colonizzatori spagnoli decisero di chiamarlo San Francisco, in devozione al nostro santo di Assisi. Era il 1847. Quasi un anno dopo, veniva trovato il primo filone d’oro sulle sponde dell’American River e così, in meno di tre anni, già 40.000 persone lo avrebbero abitato. Oggi sono 800.000, anche se l’oro non c’è più da un pezzo.
A un’ora di auto verso sud, direzione Messico, per intenderci, c’è San José, Silicon Valley, El Camino Real, California.
Qui vivo da quasi un anno, ma la domenica, quando non sono in Asia, torno a Yerba Buena e lì vado a messa; la mia parrocchia di adozione é diventata la Old St. Mary Cathedral, nel mezzo di Chinatown. La prima volta ci siamo andati io e mia moglie Mari insieme, quasi per caso, e oggi é ci é diventata familiare.
I Padri Paulisti (Paulist Fathers) la dirigono.
Nonostante il nome, non fanno parte di una setta dedita al culto del caffè, ma evidentemente si ispirano a San Paolo.
Non so molto di più, so però che questi Paulisti accolgono diversi protestanti in comunità, senza la pretesa di convertirli tutti. Soprattutto, accolgono tutta la comunità cattolica cinese di San Francisco. E da un anno a questa parte, anche qualche disperso Agratese.
L’ultima domenica di Agosto ci siamo andati io, la Mari, Billi e Daniele.
Era la festa della famiglia secondo una delle tante tradizioni cinesi, per cui i canti e le preghiere si mescolavano allegramente e incomprensibilmente nelle due lingue.
La sorpresa é stato iniziare con “Morning has broken”, Cat Stevens; chi ha vissuto la rivoluzione musicale degli anni 70 sicuramente ricorderà (e magari sorriderà).
È anche vero che i canti in inglese, sarà per l’intonazione un po’ blues, sarà per la lingua, danno un po’ la sensazione di avventura da western romantico.
Ci si sente Tex Willer sulle sponde dello Yukon in quelle notti stellate disegnate da Bonelli nei suoi fumetti. Anche cantando l’Alleluia”. E’ vero, lo ammetto, c’é un certo fascino.
Tutto questo a Chinatown. Mi sono chiesto, e ancora mi chiedo, ma tutti questi cinesi, quando mai si sono convertiti.
E perché. Così, chiacchierando con il reverendo Peter Shea, vicario parrocchiale, ho scoperto la storia dell’immigrazione cinese, simile a quella Italiana sulla sponda orientale, di un quartiere sovraffollato da gente disperata e silenziosa, incapace di comunicare, ignorata o mal sopportata dalle autorità e dalle altre comunità.
Vessata da una criminalità locale (le gang cinesi chiamate “tongs”) in controllo dell’economia di tutto il quartiere.
Sembra storia di oggi.
Per tanta di questa gente, la chiesa, la missione, diventava l’unico rifugio, un posto dove sentirsi in qualche modo accolti.
E lì hanno sentito i Paulisti parlare di Gesù.
Quella stessa comunità avrebbe poi ricostruito la cattedrale dopo il terremoto del 1906.
Era la “loro” chiesa.
Oggi, i loro discendenti, continuano a popolare la messa delle 11, mescolandosi a qualche ispanico, ma anche a parecchi “yankee”; é affascinante vedere colori e culture così apparentemente diversi e uniti in modo che a me sembra naturale.
La comunità ha anche un bel coro, una soprano con una bellissima voce, ma, ancora di più, sente la cattedrale come parte viva della sua storia.
Sono le parole di don Peter, il reverendo vicario, che finge di sapere l’italiano usando espressioni che sinceramente non capisco; comunque sorrido, e lui sembra contento; dice che vuole andare a Roma per il prossimo conclave (ma non era riservato ai Cardinali?).
Rieccoci a domenica 26 agosto.
È una bella funzione, si sente la partecipazione e una spontaneità che forse avevo dimenticato.
E’ il momento della pace, secondo il rito romano, ma qua ci si abbraccia sul serio, così abbraccio i ragazzi, abbraccio la Mari.
Per un momento, sono a casa, Agrate, “the peace of the Lord be with you always”, prega il reverendo.
Così ci si lascia sulle note di Bach, resta con noi Signore.
“Stay with us Lord, do not leave us, and night will never fall again”.
Walter Sangalli
Vivere la domenica a 10.000 km da casa
Il racconto di un agratese che vive e lavora a San José, in California
Il villaggio di Yerba Buena contava appena 400 abitanti quando i colonizzatori spagnoli decisero di chiamarlo San Francisco, in devozione al nostro santo di Assisi. Era il 1847. Quasi un anno dopo, veniva trovato il primo filone d’oro sulle sponde dell’American River e così, in meno di tre anni, già 40.000 persone lo avrebbero abitato. Oggi sono 800.000, anche se l’oro non c’è più da un pezzo.
A un’ora di auto verso sud, direzione Messico, per intenderci, c’è San José, Silicon Valley, El Camino Real, California.
Qui vivo da quasi un anno, ma la domenica, quando non sono in Asia, torno a Yerba Buena e lì vado a messa; la mia parrocchia di adozione é diventata la Old St. Mary Cathedral, nel mezzo di Chinatown. La prima volta ci siamo andati io e mia moglie Mari insieme, quasi per caso, e oggi é ci é diventata familiare.
I Padri Paulisti (Paulist Fathers) la dirigono.
Nonostante il nome, non fanno parte di una setta dedita al culto del caffè, ma evidentemente si ispirano a San Paolo.
Non so molto di più, so però che questi Paulisti accolgono diversi protestanti in comunità, senza la pretesa di convertirli tutti. Soprattutto, accolgono tutta la comunità cattolica cinese di San Francisco. E da un anno a questa parte, anche qualche disperso Agratese.
L’ultima domenica di Agosto ci siamo andati io, la Mari, Billi e Daniele.
Era la festa della famiglia secondo una delle tante tradizioni cinesi, per cui i canti e le preghiere si mescolavano allegramente e incomprensibilmente nelle due lingue.
La sorpresa é stato iniziare con “Morning has broken”, Cat Stevens; chi ha vissuto la rivoluzione musicale degli anni 70 sicuramente ricorderà (e magari sorriderà).
È anche vero che i canti in inglese, sarà per l’intonazione un po’ blues, sarà per la lingua, danno un po’ la sensazione di avventura da western romantico.
Ci si sente Tex Willer sulle sponde dello Yukon in quelle notti stellate disegnate da Bonelli nei suoi fumetti. Anche cantando l’Alleluia”. E’ vero, lo ammetto, c’é un certo fascino.
Tutto questo a Chinatown. Mi sono chiesto, e ancora mi chiedo, ma tutti questi cinesi, quando mai si sono convertiti.
E perché. Così, chiacchierando con il reverendo Peter Shea, vicario parrocchiale, ho scoperto la storia dell’immigrazione cinese, simile a quella Italiana sulla sponda orientale, di un quartiere sovraffollato da gente disperata e silenziosa, incapace di comunicare, ignorata o mal sopportata dalle autorità e dalle altre comunità.
Vessata da una criminalità locale (le gang cinesi chiamate “tongs”) in controllo dell’economia di tutto il quartiere.
Sembra storia di oggi.
Per tanta di questa gente, la chiesa, la missione, diventava l’unico rifugio, un posto dove sentirsi in qualche modo accolti.
E lì hanno sentito i Paulisti parlare di Gesù.
Quella stessa comunità avrebbe poi ricostruito la cattedrale dopo il terremoto del 1906.
Era la “loro” chiesa.
Oggi, i loro discendenti, continuano a popolare la messa delle 11, mescolandosi a qualche ispanico, ma anche a parecchi “yankee”; é affascinante vedere colori e culture così apparentemente diversi e uniti in modo che a me sembra naturale.
La comunità ha anche un bel coro, una soprano con una bellissima voce, ma, ancora di più, sente la cattedrale come parte viva della sua storia.
Sono le parole di don Peter, il reverendo vicario, che finge di sapere l’italiano usando espressioni che sinceramente non capisco; comunque sorrido, e lui sembra contento; dice che vuole andare a Roma per il prossimo conclave (ma non era riservato ai Cardinali?).
Rieccoci a domenica 26 agosto.
È una bella funzione, si sente la partecipazione e una spontaneità che forse avevo dimenticato.
E’ il momento della pace, secondo il rito romano, ma qua ci si abbraccia sul serio, così abbraccio i ragazzi, abbraccio la Mari.
Per un momento, sono a casa, Agrate, “the peace of the Lord be with you always”, prega il reverendo.
Così ci si lascia sulle note di Bach, resta con noi Signore.
“Stay with us Lord, do not leave us, and night will never fall again”.
Walter Sangalli
Ultimo aggiornamento (Venerdì 05 Ottobre 2012 08:10)