"Fuge, Tace, Quiesce"
Si narra cha Arsenio, nella sua ricerca di una vita sensata, pregava Dio con insistenza: “Mostrami, Signore, il cammino della salvezza”.
Allora venne a lui una voce che diceva: “Arsenio, fuge, tace, quiesce”, “Arsenio, fuggi, taci, rappacificati”.
Certo, sono pochissimi coloro che si sentono chiamati a imitare Arsenio nella sua vicenda vocazionale, ma tutti possiamo trarre consiglio e discernimento da quelle tre semplici parole anche, o forse soprattutto, quando siamo in vacanza. “Fuggi!”
Lasciare il luogo abituale di vita è atto importante se vissuto in modo consapevole.
Ma fuggire dal luogo abituale di vita significa anche lasciare il lavoro, tutto ciò che normalmente ci riempie le giornate.
Oggi tutti sono così occupati, tutti corrono, nessuno ha mai tempo, fino al punto che dire a uno che è molto occupato è fargli un complimento, è un modo per farlo sentire importante.
Ma se la nostra identità è determinata unicamente da quel che facciamo, se finiamo per appiattirci sull’attività occupazionale svolta, che ne è di noi una volta che vediamo il nostro lavoro minacciato, reso precario, distrutto dalla crisi?
E che faremo quando, giunta la vecchiaia, non ci sarà più la professione svolta a dirci chi siamo?
Partire per le vacanze, allora, significa anche affermare la nostra capacità di prendere le distanze dal lavoro, significa dimostrare – a se stessi, innanzi tutto – che non siamo alienati e divorati dal vortice delle cose da fare, ma che sappiamo anche riposare.
Il secondo consiglio è Tace, “Fa’ silenzio!”.
Consiglio controcorrente e prezioso nel mondo assordante in cui viviamo oggi, in cui il silenzio costituisce una creatura in via d’estinzione. Tutti dicono di volere il silenzio anche se poi, una volta faticosamente raggiunto, questo incute paura, desta angoscia come se fosse vuoto, assenza.
Ecco allora le vacanze come occasione di fare silenzio, di abitare il silenzio, di vivere il silenzio. Il silenzio ci insegna a parlare, ci aiuta a discernere il peso delle parole, porta a interrogarci su quanto abbiamo detto o sentito: nessun mutismo, ma quel silenzio che restituisce a ogni parola un significato, che impedisce ai suoni di diventare rumori, che trasforma il “sentito dire” in ascolto.
Se per percepire meglio un gusto particolare chiudiamo gli occhi, perché non renderci conto che il silenzio affina lo sguardo, l’udito, il tatto…
Infine, il terzo consiglio invita a trovare la calma: Quiesce, “Trova la quiete!” Rappacificarsi è esito del distacco e del silenzio, ma è anche un atteggiamento che va assunto consapevolmente; il riposo ha qui il suo significato primario di rinfrancarsi dalle fatiche, ma per essere autentico non può mai separarsi dal trovare la calma e la pace e dal cercare la riconciliazione: tra noi e la nostra vita, tra noi e i nostri enigmi, tra noi e gli altri.
Quiesce!, un invito difficile da accogliere, soprattutto per chi non ha ascoltato né il fuge né il tace, ma le vacanze nel loro stesso nome ci invitano a questo: vacare significa “tralasciare”, “smettere”, discostarsi da un ritmo quotidiano per ritrovare l’autentica vita interiore, è uscire da quello che facciamo per rientrare in quello che siamo, un far tacere quello che ci assorda per tornare a utilizzare l’orecchio del cuore.
da “Ogni cosa alla sua stagione”
di Enzo Bianchi, priore di Bose
Allora venne a lui una voce che diceva: “Arsenio, fuge, tace, quiesce”, “Arsenio, fuggi, taci, rappacificati”.
Certo, sono pochissimi coloro che si sentono chiamati a imitare Arsenio nella sua vicenda vocazionale, ma tutti possiamo trarre consiglio e discernimento da quelle tre semplici parole anche, o forse soprattutto, quando siamo in vacanza. “Fuggi!”
Lasciare il luogo abituale di vita è atto importante se vissuto in modo consapevole.
Ma fuggire dal luogo abituale di vita significa anche lasciare il lavoro, tutto ciò che normalmente ci riempie le giornate.
Oggi tutti sono così occupati, tutti corrono, nessuno ha mai tempo, fino al punto che dire a uno che è molto occupato è fargli un complimento, è un modo per farlo sentire importante.
Ma se la nostra identità è determinata unicamente da quel che facciamo, se finiamo per appiattirci sull’attività occupazionale svolta, che ne è di noi una volta che vediamo il nostro lavoro minacciato, reso precario, distrutto dalla crisi?
E che faremo quando, giunta la vecchiaia, non ci sarà più la professione svolta a dirci chi siamo?
Partire per le vacanze, allora, significa anche affermare la nostra capacità di prendere le distanze dal lavoro, significa dimostrare – a se stessi, innanzi tutto – che non siamo alienati e divorati dal vortice delle cose da fare, ma che sappiamo anche riposare.
Il secondo consiglio è Tace, “Fa’ silenzio!”.
Consiglio controcorrente e prezioso nel mondo assordante in cui viviamo oggi, in cui il silenzio costituisce una creatura in via d’estinzione. Tutti dicono di volere il silenzio anche se poi, una volta faticosamente raggiunto, questo incute paura, desta angoscia come se fosse vuoto, assenza.
Ecco allora le vacanze come occasione di fare silenzio, di abitare il silenzio, di vivere il silenzio. Il silenzio ci insegna a parlare, ci aiuta a discernere il peso delle parole, porta a interrogarci su quanto abbiamo detto o sentito: nessun mutismo, ma quel silenzio che restituisce a ogni parola un significato, che impedisce ai suoni di diventare rumori, che trasforma il “sentito dire” in ascolto.
Se per percepire meglio un gusto particolare chiudiamo gli occhi, perché non renderci conto che il silenzio affina lo sguardo, l’udito, il tatto…
Infine, il terzo consiglio invita a trovare la calma: Quiesce, “Trova la quiete!” Rappacificarsi è esito del distacco e del silenzio, ma è anche un atteggiamento che va assunto consapevolmente; il riposo ha qui il suo significato primario di rinfrancarsi dalle fatiche, ma per essere autentico non può mai separarsi dal trovare la calma e la pace e dal cercare la riconciliazione: tra noi e la nostra vita, tra noi e i nostri enigmi, tra noi e gli altri.
Quiesce!, un invito difficile da accogliere, soprattutto per chi non ha ascoltato né il fuge né il tace, ma le vacanze nel loro stesso nome ci invitano a questo: vacare significa “tralasciare”, “smettere”, discostarsi da un ritmo quotidiano per ritrovare l’autentica vita interiore, è uscire da quello che facciamo per rientrare in quello che siamo, un far tacere quello che ci assorda per tornare a utilizzare l’orecchio del cuore.
da “Ogni cosa alla sua stagione”
di Enzo Bianchi, priore di Bose
Ultimo aggiornamento (Lunedì 23 Luglio 2012 06:35)