Home Page Il "Casa di Betania" Archivio Giugno 2012 La vocazione? Abitare la storia e credere ancora che sia possibile cambiare qualcosa

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La vocazione? Abitare la storia e credere ancora che sia possibile cambiare qualcosaParlare di scelte stabili e definitive non é facile, oggi meno che mai.
Se poi ci si avventura nel campo della politica, l’operazione pare diventare addirittura quasi impossibile.
Sembrano infatti dominare altri criteri, quali l’utilità personale, la convenienza, al più, ma tentando di volare davvero “alto”, l'opportunità.
C’é il rischio concreto di ridurre tutto alla dimensione dell’utile, trascurando qualsiasi riferimento all’etica e a un possibile impegno per il bene comune o qualsiasi altro aspetto che possa andare oltre il proprio tornaconto personale.
Se questo é il panorama in cui ci si muove, la coerenza é un lusso che non ci si può certo concedere, perché tutto deve essere orientato a un unico obiettivo: conservare i privilegi acquisiti e mantenere la poltrona conquistata a caro prezzo.
Ma davvero in politica é tutto e solo così?
E allora, vale la pena di credere ancora che sia possibile cambiare qualcosa?
Insigni opinionisti tentano di convincerci che non ci sia più nulla da fare e che ormai tutto ciò che ruota attorno alla politica sia irrimediabilmente compromesso con logiche di potere e privilegio.
E i fatti di cronaca paiono spesso dare ragione a queste tesi.
Compito del cristiano é però quello di abitare la storia e di scorgere segni di speranza anche quando il buio sembra prevalere.
Mi pare proprio questa la missione di chi da credente si impegna in politica: guardare in faccia alla realtà e provare a modificarla orientandola secondo valori che vanno vissuti, testimoniati e confrontati con gli altri.
L’uscire fuori di sé e il preoccuparsi degli altri dovrebbero essere le caratteristiche principali di chi fa politica, almeno se intendiamo per politica quella che Paolo VI ebbe il coraggio di definire come forma eminente e privilegiata di carità.
Il valore non negoziabile per chi fa politica da cristiano (e non “in quanto” cristiano) mi pare quello dell’attenzione all’altro, soprattutto se più fragile e più debole.
La vocazione del politico diventa allora la sfida a far sì che tutti possano sentirsi cittadini a pieno titolo, vedendo riconosciuti i propri diritti, e a garantire una piena possibilità di espressione e di realizzazione a tutti coloro che, da soli o in forma associata, vogliano offrire il loro contributo per l’utilità comune.
Chi amministra non dovrebbe avere altro obiettivo che quello di garantire pari opportunità ai propri cittadini, nella consapevolezza che, grazie al rispetto di regole e leggi, potremo sentirci corresponsabili di una società più giusta in cui ciascuno trovi lo spazio per esprimersi.
La politica (e dunque il politico) deve avere il coraggio di riconoscere il proprio limite: non può considerarsi onnipotente, onnipresente e autosufficiente.
Se é vero che la politica é, come insegnava già Machiavelli, l’arte di gestire il potere con metodi alternativi al conflitto violento e armato, per il cristiano il potere assume una connotazione del tutto particolare trasformandosi
in un’occasione di servizio agli altri.
Il messaggio evangelico non lascia dubbi al proposito e chiede un impegno che non si limiti alla proclamazione di valori, ma abbracci tutta l’esperienza personale attraverso una testimonianza credibile e autentica.
Fare politica é una scelta, farla da cristiani, se si vuol prendere sul serio la propria fede, può anche diventare una vocazione.

Fabio Pizzul

Ultimo aggiornamento (Venerdì 08 Giugno 2012 09:00)

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