Home Page Il "Casa di Betania" Archivio Aprile 2012 Chiamati a Donare Speranza

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Chiamati  a Donare SperanzaGesù Cristo morto e risorto è la fonte e l’alimento della speranza.
Non può essere diversamente, perché la morte in croce ci testimonia e ci dona l’amore misericordioso del Padre attraverso l’amore del Figlio, un amore libero e obbediente che lo porta a consegnare tutto il suo sangue per la nostra salvezza, e perché la risurrezione dopo quel Sabato attesta e offre all’umanità la vittoria sulla morte e la vita eterna.
Quando dal nostro cuore di credenti viene a scomparire la paura della morte con la certezza che Cristo l’ha vinta per donarci la vita eterna, è mai possibile non avere speranza?
Chiamati a Donare Speranza
“Il Signore è risorto! È veramente risorto!”.
In concomitanza con la Pasqua, Resurrezione di nostro Signore, percorriamo un itinerario di approfondimento guidati dall’enciclica di Papa Benedetto XVI “Spe salvi” del 2007, affinché questo evento realmente interpelli le nostre coscienze di credenti. Il punto di partenza è la nostra vita, la nostra quotidianità che ha di fronte uno scenario contraddistinto dalla crisi economica e dalla precarietà e frammentarietà dei rapporti umani.
Da parte di molti vi è il disagio per una serie di avvenimenti che si inseriscono nella nostra vita improvvisamente, ma con una forza deflagrante che annienta la voglia di vivere.
Pensiamo alla perdita di un posto di lavoro o ad una separazione coniugale o ad una malattia.
Di fronte a tutto questo la Pasqua deve rappresentare per il credente uno stimolo ulteriore per diventare una presenza positiva e forte.
Siamo infatti chiamati a donare speranza.
San Paolo dice ai Tessalonicesi: Voi non dovete « affliggervi come gli altri che non hanno speranza » (1 Ts 4,13).
L’elemento distintivo dei cristiani è il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto.
Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente.
Così possiamo dire: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita.

Quale speranza?

Ora s’impone una domanda nel nostro itinerario: in che cosa consiste questa speranza?
San Paolo presentava ai Tessalonicesi una verità nuova, ma per noi, che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio, il possesso della speranza, che proviene dall’incontro reale con Gesù Cristo, morto e risorto, non è automatico.
E’ necessario interpellarsi sulla autenticità della nostra fede o, forse, è più corretto utilizzare il concetto di genuinità.
Questo vocabolo è decisamente inflazionato oggi, ma esprime compiutamente una fede che ritrova l’essenzialità del rapporto tra vita e Vangelo e che da qui, come sopra accennato, produce fatti e cambia la vita.
Volendo esprimere con il linguaggio più diretto possibile il tema che stiamo esaminando, possiamo chiederci in che modo ciascuno di noi, a partire dalla nostra fede, può annunciare nella complessità del quotidiano una visione diversa del mondo.
Anche qui l’aggettivo “diverso” non deve essere interpretato come un atteggiamento di contrapposizione con il mondo, ma deve essere letto come una “modalità innovativa” di leggerlo.
Il passaggio successivo consiste, quindi, con quale movimento di proposte e visioni proporre un “nuovo umanesimo” cristiano capace di parlare a tutti, autentico strumento di speranza.

Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero

Chiamati a Donare SperanzaSe la speranza è accogliere nella nostra vita la proposta del Vangelo, proprio in quest’ultimo, possiamo trovare lo splendido inno alla speranza che viene a noi da Gesù risorto nella bellissima pagina evangelica di Luca (24,13-35).
Un inno che si apre, paradossalmente, con le note gravi di una speranza che viene meno, definitivamente crollata: quella dei due discepoli di Emmaus, che presentano “il volto triste” e che confessano il perché dei loro discorsi sfiduciati dicendo «Noi speravamo che fosse lui (Gesù Nazareno) a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute».
L’inno alla speranza si sviluppa poi con altre note, destinate a riaccendere nel cuore dei discepoli una qualche ripresa di speranza: sono le note che suona il viandante che, non riconosciuto, si accosta loro e li interroga dicendo «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?», e che «cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui».
Ed ecco il vertice dell’inno, che si dispiega al declinare del giorno a tavola con il pane preso, benedetto, spezzato e donato: «Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero».
L’inno sembra bloccarsi di fronte al fatto che «lui sparì dalla loro vista».
In realtà si apre con nuovo slancio, perché la speranza è ritornata, ritornata in tutta la sua certezza, impossibilitata ormai a sparire dal momento che Cristo è risorto ed è vivo.
E le note continuano e fanno muovere le labbra e ancor più il cuore dei discepoli: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?».
E l’inno prosegue, concitato, lungo tutto il ritorno di corsa a Gerusalemme per comunicare la loro testimonianza e insieme per ricevere, il grido pasquale degli Undici e degli altri che erano con loro: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone».

“Luoghi” di apprendimento e di esercizio della speranza

Siamo al termine di questo nostro itinerario.Chiamati a Donare Speranza
Adesso occorre trasferire nella nostra vita quello slancio che i discepoli di Emmaus riacquistano perché è ritornata la speranza, dato che Cristo è risorto e vivo.
In realtà, questa pagina del Vangelo ci tocca il cuore, ma non sempre diventa un riferimento concreto nelle nostre decisioni e attività quotidiane.
Il tema è sempre lo stesso: il Vangelo.
Cerchiamo allora di concretizzare ulteriormente questo approccio alla vita che costituisce l’originalità del credente, rivolgendo la nostra attenzione ad alcuni « luoghi » di pratico apprendimento ed esercizio della speranza.
In questa ricerca viene in nostro aiuto Papa Benedetto XVI con la sua enciclica sulla speranza cristiana “Spe salvi” del 2007 che ci suggerisce un cammino di approfondimento.
Un primo essenziale luogo di apprendimento della speranza è la preghiera.
Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, a Dio posso sempreparlare.
Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi.
E perché, allora, non dedicare qualche attimo della nostra giornata alle richieste insegnateci da Gesù nel “Padre nostro” quali contenuti centrali della speranza, come il “sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”?
Il secondo luogo consiste nel fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza: impedire, per quanto possibile, la sofferenza degli innocenti; calmare i dolori; aiutare a superare le sofferenze di qualsiasi natura. Sono tutti doveri sia della giustizia che dell’amore che rientrano nelle esigenze fondamentali dell’esistenza cristiana e di ogni vita veramente umana.
In effetti ogni giorno vediamo espressioni della fragilità e della sofferenza.
Certo, queste sono una “sfida” per la nostra speranza: se è vero che la possono svigorire e in qualche modo cancellare, è pur vero che la possono anche rendere più pura e autentica ed in tal senso scrive il Papa: “Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore” (Spe salvi, n. 37).

Portatori di speranza
Chiamati a Donare Speranza
Il terzo luogo di apprendimento della speranza, che Papa Benedetto XVI ci indica, è costituito da ogni agire serio e retto dell’uomo, in quanto è speranza che si trasforma e diventa vita, nel senso che cerchiamo così di portare avanti le nostre speranze, più piccole o più grandi.
Il nostro impegno costituisce un contributo affinché il mondo diventi un po’ più luminoso e umano e così si aprano anche le porte verso il futuro.
Nel giorno di Pasqua è forse il caso di chiederci cosa significa nella nostra vita quell’agire serio e retto dell’uomo a cui Papa Benedetto XVI si riferisce.
Una prima risposta è che quel atteggiamento deve coinvolgere tutte le nostre dimensioni, in quanto si è credenti “sempre”.
Segnaliamo alcune esperienze di vita comune, che ovviamente non sono esaustive, ma che costituiscono un importante punto di partenza per dare un seguito personale a questo breve itinerario di riflessione:
• a livello di esistenza personale per giocare la propria vita con slancio, riscoprendo la vita stessa come vocazione;
• a livello di famiglia perché il matrimonio venga vissuto come luogo di libertà, di crescita e di verità;
• a livello di comunione nella vita ecclesiale e sociale perché diventi prioritario l’esercizio del dialogo fra noi e con tutti;
• a livello di società civile perché venga ricucita quella frattura fra politica e vita ecclesiale, fra interessi personali e interessi collettivi;
• a livello di rapporto fra l’uomo ed il creato perché è sempre più urgente un uso più sobrio ed equilibrato delle risorse del creato.
Buona Pasqua.

Leandro Giacobbi

Fonti:
• Enciclica “Spe salvi” di Papa Benedetto XVI
• Omelia del Card. D. Tettamanzi “Chiamati a donare speranza” del 3/5/2008


Ultimo aggiornamento (Venerdì 06 Aprile 2012 07:00)

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