Per una Lettura della “Primavera Araba”
Abbiamo avuto l’occasione di un incontro con Gerolamo Fazzini, direttore della rivista del PIME “Mondo e Missione”, e conoscitore dei paesi che si affacciano dall’altro lato del Mediterraneo.
Gli abbiamo chiesto un commento e una chiave di lettura per quanto sta accadendo in queste ultime settimane.
È molto difficile, mentre la situazione è ancora fluida e i focolai di ribellione e tensione sembrano moltiplicarsi, provare a elaborare chiavi di lettura della “primavera araba” in corso da diverse settimane.
Un primo dato, per così dire “trasversale”.
Il movimento di protesta che sta scuotendo numerosi Paesi arabi, dal Maghreb al Medio Oriente, vede protagonista un movimento fatto in larga parte di giovani, persone che crescono in un mondo sempre più globalizzato e avvertono tutta la rigidità dei regimi che dominano molti di questi Paesi.
Non è un caso che la scintilla della protesta sia venuta dalla Tunisia che, paradossalmente, non è il Paese messo peggio quanto a tasso di alfabetizzazione e Prodotto interno lordo.
Eppure proprio lì i giovani, con un livello di scolarità maggiore che altrove, hanno innescato la protesta chiedendo lavori meno precari, più diritti, un ruolo politico al momento impedito.
Dalla Tunisia la protesta ha toccato Algeria, Libia, Egitto e poi la Siria, in misura minore la Giordania, alcuni Paesi del Golfo Persico, persino fortezze impenetrabili come lo Yemen.
Al pari di quanto avviene anche in Occidente, anche se in forme diverse, i giovani esigono un ruolo da protagonisti sulla scena sociale.
Chiedono innanzitutto dignità.
“La globalizzazione è questa ha affermato padre Samir Khalil (gesuita egiziano, studioso dell’Islam) in una intervista recente la globalizzazione delle idee, dei desideri, delle attese del popolo.
Tutti trovano normale che succeda da noi quello che è successo altrove. Sanno che ormai hanno diritto ad avere gli stessi diritti umani di tutti”.
Secondo elemento: questi giovani comunicano attraverso Internet, Youtube, Facebook... ed è per questo che la rivolta si è allargata a macchia d’olio valicando in fretta i confini nazionali.
C’è un denominatore comune che va oltre le connotazioni locali che la protesta assume o la contestazione di questo o quel leader. “Oggi i regimi arabi ha scritto Il Foglio - sono attraversati da una profonda crisi di credibilità e spinge centinaia di migliaia di persone a scendere nelle piazze con lo slogan inusuale “Dignità!”.
I vecchi rais sono rigidi, non sono in grado di organizzare alcuna riforma.
Questa rigidità porta i regimi a implodere, pur di non piegarsi”.
Terzo. E’ interessante notare come nessuno dei movimenti di massa che stiamo vedendo attivo nei Paesi arabi se la prenda, come accaduto in passato, con gli stranieri, con l’imperialismo di questo o quello (Usa, Francia…).
Coloro che sono scesi in piazza sembrano dire: vogliamo risolvere il problema interno del mondo arabo tra di noi.
Il primo mondo e l’Occidente, al più, possono aiutarci incoraggiando, ma senza pensare di risolvere i problemi al nostro posto.
Certo, non possiamo nasconderci le enormi incognite che dovranno essere sciolte nei prossimi mesi.
Ma se davvero quanto sta accadendo innescherà processi di giustizia sociale e di democrazia reale potremo dire di aver visto all’opera la Storia, la stessa che è cambiata con il crollo del Muro di Berlino o con l’11 settembre.
Gerolamo Fazzini, direttore di Mondo e Missione
Gli abbiamo chiesto un commento e una chiave di lettura per quanto sta accadendo in queste ultime settimane.
È molto difficile, mentre la situazione è ancora fluida e i focolai di ribellione e tensione sembrano moltiplicarsi, provare a elaborare chiavi di lettura della “primavera araba” in corso da diverse settimane.
Un primo dato, per così dire “trasversale”.
Il movimento di protesta che sta scuotendo numerosi Paesi arabi, dal Maghreb al Medio Oriente, vede protagonista un movimento fatto in larga parte di giovani, persone che crescono in un mondo sempre più globalizzato e avvertono tutta la rigidità dei regimi che dominano molti di questi Paesi.
Non è un caso che la scintilla della protesta sia venuta dalla Tunisia che, paradossalmente, non è il Paese messo peggio quanto a tasso di alfabetizzazione e Prodotto interno lordo.
Eppure proprio lì i giovani, con un livello di scolarità maggiore che altrove, hanno innescato la protesta chiedendo lavori meno precari, più diritti, un ruolo politico al momento impedito.
Dalla Tunisia la protesta ha toccato Algeria, Libia, Egitto e poi la Siria, in misura minore la Giordania, alcuni Paesi del Golfo Persico, persino fortezze impenetrabili come lo Yemen.
Al pari di quanto avviene anche in Occidente, anche se in forme diverse, i giovani esigono un ruolo da protagonisti sulla scena sociale.
Chiedono innanzitutto dignità.
“La globalizzazione è questa ha affermato padre Samir Khalil (gesuita egiziano, studioso dell’Islam) in una intervista recente la globalizzazione delle idee, dei desideri, delle attese del popolo.
Tutti trovano normale che succeda da noi quello che è successo altrove. Sanno che ormai hanno diritto ad avere gli stessi diritti umani di tutti”.
Secondo elemento: questi giovani comunicano attraverso Internet, Youtube, Facebook... ed è per questo che la rivolta si è allargata a macchia d’olio valicando in fretta i confini nazionali.
C’è un denominatore comune che va oltre le connotazioni locali che la protesta assume o la contestazione di questo o quel leader. “Oggi i regimi arabi ha scritto Il Foglio - sono attraversati da una profonda crisi di credibilità e spinge centinaia di migliaia di persone a scendere nelle piazze con lo slogan inusuale “Dignità!”.
I vecchi rais sono rigidi, non sono in grado di organizzare alcuna riforma.
Questa rigidità porta i regimi a implodere, pur di non piegarsi”.
Terzo. E’ interessante notare come nessuno dei movimenti di massa che stiamo vedendo attivo nei Paesi arabi se la prenda, come accaduto in passato, con gli stranieri, con l’imperialismo di questo o quello (Usa, Francia…).
Coloro che sono scesi in piazza sembrano dire: vogliamo risolvere il problema interno del mondo arabo tra di noi.
Il primo mondo e l’Occidente, al più, possono aiutarci incoraggiando, ma senza pensare di risolvere i problemi al nostro posto.
Certo, non possiamo nasconderci le enormi incognite che dovranno essere sciolte nei prossimi mesi.
Ma se davvero quanto sta accadendo innescherà processi di giustizia sociale e di democrazia reale potremo dire di aver visto all’opera la Storia, la stessa che è cambiata con il crollo del Muro di Berlino o con l’11 settembre.
Gerolamo Fazzini, direttore di Mondo e Missione
Ultimo aggiornamento (Venerdì 08 Aprile 2011 07:30)