Home Page Il "Casa di Betania" Archivio Novembre 2010 L’oratorio è ancora un valore? Come, quando e perché?

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L’oratorio è ancora un valore? Come, quando e perché?Riflessioni a margine delle feste di apertura degli oratori

L’idea di don Mauro di proporre una serata di riflessione, aperta a tutte gli oratori della Comunità Pastorale, sul tema oratorio, ha creato una grande vivacità di pensiero e ha dato a tutti noi l’occasione di confrontarci e di arricchirci reciprocamente.
È stata davvero una bella serata!
Che ha visto per la prima volta riuniti insieme i membri, collaboratori e volontari dei nostri tre oratori.
Personalmente ritengo sia necessario offrire periodicamente queste occasioni di conoscenza e di dialogo reciproco.
I nostri tre oratori sono molto diversi, per storia e per situazione attuale.
Dallo scambio e dal confronto non può nascere che una ricchezza maggiore nell’esperienza di tutti.
Il tema della serata del 24 settembre, che ritroviamo nel titolo dell’articolo, rimane una domanda comunque provocatoria.
Positivamente provocatoria.
Mi sono accorto innanzitutto che la domanda tradisce un dubbio! Quando si dice di una cosa o di una esperienza: “ne vale ancora
la pena?
” è perché si dubita in realtà della validità dell’esperienza stessa, oppure perché si è confusi circa l’utilità o gli esiti della stessa.
Se serve, a cosa serve, perché serve? In secondo luogo questa domanda ci porta a riflettere con serietà su una esperienza molto significativa delle nostre tre comunità.
Ma non si tratta soltanto di pensare attorno ad una esperienza.
La sfida di sempre è quella di maturare insieme un forte senso di responsabilità nel farsi carico della missione prioritaria della Chiesa di sempre: educare.
Educare alla bellezza del Vangelo.
Educare alla bellezza della vita!
L’oratorio, sia come luogo fisico e storico, che come esperienza, dice concretamente la responsabilità educativa della Comunità cristiana.
Una missione educativa che non ha altri obiettivi se non questi.
È una missione alta! Che ci risveglia e ci scuote dal torpore pessimistico che talvolta aleggia contagioso nei nostri ambienti ecclesiastici! I cristiani, a volte,
nel loro esprimersi, tradiscono facilmente dei pensieri di disillusione e di rassegnazione nei confronti del contesto storico attuale, soprattutto per ciò che concerne
la realtà giovanile.
Le innegabili fatiche del tempo presente – ma esiste un tempo senza fatiche e senza sfide ? – non ci devono distrarre dalla bellezza e dal “valore” della missione che ci viene affidata:
introdurre le nuove generazioni alla bellezza della persona di Gesù.
Si tratta di una missione tanto più urgente e necessaria, quanto più intorno a noi si manifestano segnali di disgregazione personale e comunitaria.
Recentemente il papa Benedetto XVI ha utilizzato un’immagine molto efficace: chi si allontana da Dio sperimenta il deserto del cuore.
Noi cristiani non chiudiamo gli occhi davanti ai tanti deserti – interiori e sociali – che lo scenario attuale ci presenta.
Non ci rassegniamo di fronte ai ripetuti segnali di indifferenza.
Non ci nascondiamo timidamente nelle nostre case, nei nostri gruppi rassicuranti, nelle nostre esperienze comunitarie confortevoli.
Noi vorremo uscire allo scoperto, osare ancora con coraggio per essere presenti là dove si vive, si ama si lavora e si soffre, per poter dire ancora l’unica parola sensata: Gesù!
In questo articolo non ho la pretesa di dire tutto quello che è possibile dire sull’oratorio.
Cercherò invece di riassumere la ricchezza dei dialoghi che ho vissuto in questi mesi, parlando e incontrando chi vive realmente l’oratorio.
Credo che queste parole possano essere occasione di riflessione per tutta la Comunità.
Se dovessi allora riassumere quello che mi sta a cuore, facendo anche sintesi degli interventi proposti in quella sera (disponibili nella sezione Documenti del sito web della Comunità Pastorale), non ho dubbi sul dire che l’oratorio è innanzitutto un valore quando crede in se stesso, in quello che è e in quello che opera!
Il cardinale Martini ha recentemente usato un’immagine molto efficacie per parlare di educazione cristiana.
Educare una persona è far crescere un corpo.
L’educazione cristiana non è una educazione – come si potrebbe magari supporre, parziale, oppure soltanto confessionale.
La parola di Gesù, trasmessa dalla Chiesa, è capace di far crescere l’uomo.
È capace di farci diventare persone vere.
Martini afferma che una educazione cristiana autentica fa crescere un ragazzo in tutte queste quattro dimensioni: testa, cuore, mani e piedi.
Con testa s’intende ovviamente la razionalità, l’intelligenza.
Ma più ancora quella capacità di lettura del proprio vissuto e delle proprie esperienza che apre alla vera sapienza.
Cuore dice il mondo degli affetti, dei sentimenti.
Il cuore è, nella visione biblica, il centro della persona.
È il luogo – noi diremmo l’anima – dove razionalità e sentimenti si incontrano e diventano scelte concrete, decisioni della vita.
Mani, richiama l’ambito della carità, dell’amore fraterno.
È attraverso le mani, nel “darsi da fare” quotidiano, che noi esprimiamo l’amore che ci abita e che vogliamo comunicare.
Educare in oratorio non sarà mai soltanto allora l’apprendimento di alcune fondamentali nozioni della fede; né tantomeno si ridurrà a vivere esperienze di emozione religiosa o psichiche di gruppo.
In oratorio ci si educa allo stile della carità, quello che si manifesta spontaneamente nei gesti concreti, quando il nostro cuore è pieno di Dio.
Infine i piedi.
È l’immagine che si collega all’idea della vita come cammino, un cammino vissuto con lo stile di chi va incontro e si fa prossimo.
Ma anche con lo stile di chi è aperto mentalmente, perché sappiamo che i grandi muri da abbattere sono spesso quelli della nostra mente e del nostro cuore, e che i confini da varcare non sono quelli geografici, ma quelli del pregiudizio, della paura e del sospetto.
È lo stile di chi è interessato alle vicende umane degli altri; di chi guarda al mondo non con paura ma con interesse e responsabilità.
Si tratta allora di assumere lo stile di chi si fa incontro agli altri, ma per farsi carico degli altri e delle loro situazioni.L’oratorio è ancora un valore? Come, quando e perché?
E nello stesso tempo si tratta di essere accoglienti verso chi, camminando si avvicina a noi; a chi incrocia, per i più svariati motivi, la nostra strada.
Se l’oratorio crede nella grandezza e nella missione che gli è propria, e cerca con sincerità di realizzarla, allora resterà e diventerà un vero luogo significativo ed educativo.
Le tante generazioni che hanno frequentato i nostri oratori e che ancora lo frequentano dicono che l’oratorio ha saputo essere, per lunghi anni una realtà molto significativa per i giovani del nostro territorio.
Dobbiamo doverosamente chiederci se sia così anche oggi; se la proposta educativa che riusciamo a porre in essere sia adeguata ai tempi, sia effettivamente accessibile a tutti, e sia capillarmente comunicata ai giovani del nostro territorio.
Se la comunicazione capillare della proposta e la promozione della stessa sono fondamentali, ugualmente fondamentale e necessario è che l’oratorio non perda la sua identità profonda e la ricchezza delle esperienze che ne derivano.
Credo allora che l’ambiente dell’oratorio rimane un luogo significativo se mantiene la sua caratteristica di apertura e di accoglienza.
Il Sinodo 47° della nostra Diocesi afferma che la pastorale giovanile di una parrocchia manifesta l’irrinunciabile attenzione alla totalità della popolazione giovanile che vive nel suo territorio.
Proprio a partire da questa attenzione alla totalità, l’oratorio deve essere un luogo necessariamente aperto e accogliente, fortemente sbilanciato sull’accoglienza.
Da questo deriva che vanno operati sforzi comuni affinché la proposta dell’oratorio sia per tutti veramente accessibile e conosciuta e possa essere da tutti veramente accolta.
Accoglienza e apertura significa anche che l’oratorio è chiamato a uscire da se stesso, a farsi missionario, per cercare i giovani e dialogare con loro.
Per fare ciò è necessario che l’oratorio dialoghi con le realtà giovanili del territorio e soprattutto che sappia dialogare con le diverse agenzie educative che operano a favore dei giovani: le famiglie, la scuola, le diverse associazioni parrocchiali, le società sportive, l’ente pubblico.
In secondo luogo, l’oratorio diventa esperienza significativa quando permette di vivere una reale esperienza comunitaria.
È in oratorio, e attraverso l’oratorio, che un ragazzo e un giovane conosce e impara la Chiesa.
Parliamo ovviamente della Chiesa come Comunità in cammino, come famiglia salvata e chiamata da Dio a vivere il mistero della comunione fraterna.
Forse questo è proprio il grande messaggio che un oratorio può lanciare ad un ragazzo oggi.
Quello di uscire dai propri spazi individuali per incontrare gli altri, non solo attraverso lo spazio virtuale dello schermo di un pc; ma nello spazio reale della vita!
L’oratorio diventa allora una grande palestra di relazioni umane.
Una palestra di chi si esercita ad assimilare il giusto stile del vivere.
Il metodo evangelico del vivere.
Questo metodo costituisce il fondamento della vita della Chiesa.
Ma è anche la trama segreta che regge la vita sociale.
Imparare la Chiesa, edificare la Chiesa nella comunione fraterna, non è poi così diverso di educare ai valori della socialità, che sono l’accoglienza, il rispetto reciproco, la responsabilità verso tutti.
In terzo luogo, l’anima dell’oratorio, che è la presenza di Gesù.
Rimanere noi stessi e credere in noi stessi significa rimanere in Lui.
Significa dire, verbalmente e con la vita, che Gesù e il suo Vangelo sono il senso e la spinta interiore di tutto ciò che si vive e si fa in oratorio.
Comunicare Gesù diventerà anche il criterio di giudizio del nostro vissuto.
Tutto va visto e interpretato in funzione di questo, come strumento di questa comunicazione.
A cominciare dalle strutture, fino alla singola proposta che viene fatta, che capita talvolta sia piuttosto l’espressione di una singola persona o di qualche gruppo, più preoccupato di rendersi visibile che di mettersi al servizio del cammino di fede dei ragazzi.
Comunicare Gesù, implica innanzitutto che i nostri giovani siano messi nelle condizioni di poter vivere una reale esperienza di Gesù.
Affinché questo avvenga è necessario che l’intera Comunità sia coinvolta nel cammino di fede dei ragazzi e si senta fortemente responsabile della loro fede.
Educare alla fede non è prerogativa di pochi “delegati”.
Ma è preoccupazione primaria di ogni membro della Comunità.
Così pure l’oratorio dovrà dialogare costruttivamente con le famiglie dei ragazzi, che sono i primi protagonisti e responsabili nel cammino di fede dei loro figli.
Un oratorio così dovrebbe nutrire l’ambizione di preparare alla vita!
È quello che crediamo profondamente, per questo andiamo incontro agli altri con umiltà e con gioia, nel desiderio sincero di condividere il tesoro della nostra vita, che è il Vangelo di Gesù!

don Stefano Guidi

Ultimo aggiornamento (Domenica 07 Novembre 2010 16:53)

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