Evento:  Come Sigillo Sul Tuo Cuore
Lettura e commento, immagini e musiche Dal Cantico Dei Cantici
Luogo: Cineteatro Duse Agrate Brianza
Data: Sabato 6 febbraio 2010
Relatori: Monsignor Patrizio Rota Scalabrini
Biblista, docente al Seminario di Bergamo e alla Facoltà Teologica di Milano
Fabio Pizzul
Giornalista e direttore di Circuito Marconi
Registrazione Audio:

L’incontro

Come Sigillo Sul Tuo CuoreOgni amore è il mistero della visita attesa, sognata, sempre capace di sorprendere. Il dôdî, l’amato, ancora prima che un volto, è una voce, è un appello alla libertà, una promessa che si affaccia al cuore dell’amata: è invito ad accogliere il senso buono e promettente del cammino dell’amore, superando forze paralizzanti e intristenti l’avventura della coppia, perché ogni autentica storia d’amore è chiamata a rendere migliore il mondo. La colomba è immagine dell’amata: il capo che sporge delle fessure della roccia per indicare di aver gradito il corteggiamento, dice che la relazione amorosa è custodita dal pudore, dalla riservatezza e, nel contempo, dalla fiducia profonda del sapere confidare i segreti del proprio animo all’altro. «Il mio amato è per me, e io appartengo a lui». Questo versetto, sintesi della concezione dell’amore nel Cantico dei Cantici, richiama in modo inequivocabile la formula di alleanza, la parola del Patto. Proprio nella chiamata a fare alleanza sta la verità dell’amore. Esso si manifesta nell’eros, ma non si riduce ad esso, perché il suo orizzonte è vasto e vive dello scambio reciproco, in cui il dono del corpo è segno dell’impegno della libertà.

Il giorno della gioia

Nell’esaltare la festa dei due sposi: c’è la dignità regale dell’amore: è il giorno in cui il dôdî è proclamato l’assoluto sovrano della sua amata, come lei è l’assoluta regina di lui. La dignità regale celebrata nelle nozze, non è però affare di un solo momento, ma il tratto che deve caratterizzare l’intera esperienza sponsale, anche nelle giornate più feriali. È necessaria una lotta, ma saranno sconfitte le forze della notte, gli ostacoli che cercano di offuscare lo splendore dell’amore! L’amore della coppia non può ignorare questo tratto agonico, l’inevitabile sforzo perché le forze della notte non divorino la luce traboccante del giorno delle nozze regali. La corona sulla testa dello sposo non è una qualsiasi, perché è quella che la madre dello sposo pone sul capo del figlio, nel giorno delle sue nozze! Indica una regalità che sfida la morte, poiché essa passa da individuo a individuo, è trasmessa da generazione in generazione. È il gesto simbolico in cui colei che ha dato la vita riconosce che questa vita è un dono più grande di ogni singola persona. I due sposi, nel mistero del loro amore, scoprono il mistero dell’avvicendarsi delle generazioni, del fiume inesauribile della vita, in cui ogni generazione consegna all’altra ciò che ha ricevuto! La madre che incorona il figlio dice, con questo gesto, la propria rinuncia ad averlo come un suo possesso, e lo dichiara così libero di fondare un’altra famiglia, in cui passerà il fiume della vita.

La notte

Ecco la paradossale realtà dell’amore: da una parte è il conseguire pienezza, sazietà, espressa splendidamente dal simbolo del sonno avvolgente o, forse ancora meglio, dell’estasi, dall’altra è come deprivazione, quasi ansia che tiene svegli, che agita il cuore e che attraversa i suoi sogni. Infatti l’altro non è mai un possesso, ma un mistero che chiede di essere ogni volta reincontrato, anche a costo di accettare la fatica di attuare un difficile esodo da se stessi. Non si tratta del banale adagio secondo il quale, per il bene della coppia, lei dovrebbe essere sempre disponibile, ma della questione più seria, cioè della consapevolezza che amare significa accettare che ne vada della stessa vita. Sono le tensioni che strutturano la storia della coppia, purché questa non si arresti nell’illusione del possesso, ma scopra la necessità di cercare l’altro sempre e di nuovo. È l’unico modo per riscoprire l’altro come l’unico, come colui per il quale vale la pena di confessare di essere malati d’amore. Amare è imparare a non assimilare mai l’altro a se stessi, ma piuttosto ad “essere per” l’altro.

Il giardino del corpo

Nel Cantico dei Cantici l’incontro tra l’uomo e la donna trasfigura il corpo e lo rende come trasparente, fino a scorgere in esso il mondo intero; d’altra parte l’intera creazione diventa scenario, simbolo e irradiazione della relazione d’amore tra due amanti ed essa quasi diventa il corpo dell’amata. È in realtà la fede in Dio Signore della storia, il liberatore, che ha condotto Israele a considerare l’universo come creazione di Dio, in cui Egli lascia l’impronta molteplice delle sue perfezioni; in essa gli sposi del Cantico scorgono riconoscenti e stupiti il volto amabile del loro Creatore che «vide che era cosa buona» tutto quanto aveva chiamato all’esistenza (cfr. Gn 1). Su questo sfondo ideale si colloca la celebrazione del corpo femminile, colma di meravigliata ammirazione per l’amata. La bellezza non è però celebrata in se stessa, ma all’interno di una comunione d’amore. L’esaltazione della bellezza del corpo femminile ingigantisce nell’amato il desiderio d’amore, di unità con l’amata. Egli brama di venire al “monte dell’incenso e della mirra”. Lontana da ogni considerazione biologistica o estetizzante, è questa la percezione del corpo quale segno del mistero della persona. Il pozzo di acque vive è uno dei simboli più cari alla Bibbia, poiché la sua acqua sgorga dal mistero della terra, disseta, dà vita e distribuisce fertilità. Per questo nella Scrittura la donna della propria vita la si trova solitamente presso il pozzo, luogo degli incontri, ed è essa stessa “pozzo”, quasi depositaria del mistero della vita e dell’amore!

Il compimento
L’amata riconosce che il senso della relazione con l’amato è ritornare all’origine e sperimentare così la riconciliazione con la vita e con le generazioni che li hanno preceduti e da cui hanno ricevuto l’esistenza. Ora ella guarda al futuro e scorge nell’amore una tensione verso il compimento, verso un mistero che osa sfidare la morte. Chiede all’amato di essere per lui una realtà preziosa come un sigillo; vorrebbe che lui la tenesse sempre presente, nei suoi pensieri, nelle sue decisioni, nelle sue azioni: una domanda che potrebbe suonare come delirante, se lei intendesse essere per lui una realtà così totalizzante da non esserci più nulla oltre a lei. Ma ciò che ella dice subito dopo è l’assoluto vertice del Cantico dei Cantici: «Le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore». Interpretata in senso alto, questa è l’identità teologica dell’amore della coppia. Nella storia dei due innamorati, Dio scrive un momento della manifestazione del suo immenso, infinito amore per le sue creature. Dove un uomo e una donna si amano, nell’unicità e nella fedeltà, si rivela un riverbero di quel modo con cui Dio ci ama. La forza dell’amore non sta solo negli affetti e nelle emozioni, ma proprio in questo suo mistero teologico. Di fronte al caos, che a volte sembra minacciare il senso buono della vita umana, l’amore della coppia si pone come un baluardo, come una custodia di senso.

Mons. Patrizio Rota Scalabrin



Ultimo aggiornamento (Mercoledì 22 Settembre 2010 12:21)